Complice inconsapevole di una sedentarietà ormai tipica della quotidianità individuale, il nostro mondo che, volutamente reso piatto, non è più in grado di stimolare quei processi neuromeccanici da cui, anche attraverso la soglia plantare, dipendono equilibrio e stabilità.
In assenza di stimoli adeguati, infatti, non è difficile riscontrare una generale cattiva distribuzione dei carichi sulla soglia plantare con un’apertura podalica asimmetrica e crollo funzionale di uno (o entrambi) gli assi calcaneari (da cui la pronazione o supinazione del piede). In un processo a cascata non si può far a meno di rilevare condizioni di:
Alterazioni che, al successivo esame palpatorio, consentono di riscontrare una scarsa mobilità specifica (spesso condizionata dalla compromissione funzionale e dalla tolleranza al dolore), rigidità e dolorabilità della porzione laterale della gamba (verosimilmente in carico ai muscoli peroneo lungo, peroneo breve ed elevatore lungo delle dita) ovvero della coscia posteriore (verosimilmente in carico ai muscoli bicipite femorale e vasto laterale) e/o del gluteo (verosimilmente medio gluteo e grande gluteo nel suo decorso inserzionale sacro iliaco).
In parole povere si parla di una “semplice” alterazione della funzione muscolare da cui ha luogo una cattiva gestione della fase motoria. I distretti muscolari maggiormente chiamati in causa nella fase compensativa, sono quelli che maggiormente esprimono la sensazione dolorifica.
Inutile, a questo punto sottolineare l’inadeguatezza dei test considerati specifici per questa tipologia di dolore: parliamo dei più noti LESEGUE, WASSERMAN, VALSAVA, BRAGARD, THOMSEN, YEOMAN, BONNET ed HOOVER. La relativa esecuzione, porta spesso a risultati scarsamente specifici e largamente interpretabili, quindi poco attendibili.
Da un punto di vista meccanico, ovviamente non può che riscontrarsi un cattivo assetto posturale, tale da ingenerare non solo il disallineamento degli assi verticali ma anche la perdita delle curve fisiologiche che contraddistinguono un rachide in salute: venendo meno la capacità (tipica del rachide) di distribuire nelle diverse direzioni dello spazio i carichi agenti sull’intera struttura, ha luogo un aumento dei carichi verticali capace di provocare un inevitabile cedimento dei dischi con forme degenerative che, nei punti di maggiore sollecitazione, sfociano spesso in lesioni (erniazione)…
L’erniazione del disco (al pari di qualunque altra forma di discopatia), di fatto presente su gran parte dei reperti strumentali riferiti al rachide, in virtù di quanto sopra, andrebbe letta sempre non tanto come improbabile causa di dolore quanto, piuttosto, come facile conseguenza di alterazioni meccaniche.
È per sua stessa struttura che l’erniazione non ha la capacità di ingenerare irritazioni o compressioni tali da indurre sensazioni dolorifiche:
Quand’anche si volesse ammettere la possibilità di una potenziale irritazione o infiammazione della radice nervosa, bisognerebbe comunque assumere che: